quaderno del lavoratore del sociale

questa pagina nasce come spazio di discussione sulla figure professionali del mondo del sociale:
vuole coinvolgere le discussioni sul tentavo di dare una definizione, pur dinamica, di qual'è la natura peculiare del nostro agire.
solo partendo da chi quotidiamante agisce in questo campo che si può arrivare a comprendere cosa è un lavoratore del sociale.

6 commenti:

  1. E' molto tempo che non scrivo. A quanto pare non sono l'unica...come ho già detto mi prendo lo spazio. Ho guardato il video e mi sono consolata un pò...buoni i contenuti e buono l'intervento di Costella. Dico che mi sono sentita consolata perche ho attraversato giorni in cui ho visto cavalcare, in senso negativo, la rabbia della crisi. Mi riferisco all'atteggiamento di funzionari ed operatori che, anzichè guardare la crisi per quella che è, pensano che sia meglio aggravarla, con atteggiamenti furbeschi, distruttivi e poco oggettivi. Se è vero che bisogna lottare e non nascondere la testa sotto la sabbia, è altrettanto vera che la nostra posizione, le nostre idee, lo spirito di fondo che ci sostiene, deve essere trasparente e costruttivo. La nostra professione, è una professione d'aiuto, entriamo in relazione con l'altro mettendo in campo i nostri sentimenti, con lealtà. Così deve essere anche nei rapporti tra di noi, tra le cooperative...e così dovrebbe agire il Pubblico, evitando di rintuzzare la crisi strumentalizzandola e dunque rendendola più grave. I tagli sono stati imponenti...non abbiamo bisogno di peggiorare le cose...sono già gravi così!!

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  2. Buona sera a tutti e grazie di avermi incluso. Farò del mio meglio, anche se non potendo partecipare, ho più difficoltà.In questo momento forse siete riuniti, dunque vi auguro buon lavoro e vi auguro di credere che stiamo costruendo qualcosa di importante.
    Oggi ho avuto la conferma che un servizio del Sert, messo a gara, è stato svenduto, a ribasso. Una cooperativa di Alessandria ha offerto minori costi. Inoltre sono interessati agli operatori, in quantochè non hanno il know out....vi rendete conto? Cooperative di questo genere pare ce ne siano molte!! Qualcuno è al corrente se sono state istituite cause utili a punire questo comportamento? Forse da un punto di vista della concorrenza è normale che ciò accada...ma non penso siano nella regolarità assoluta....

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  3. Ieri era l'8 marzo. E' necessario non riempire di retorica le riflessioni, che sono immense, sulla condizione di genere. Non voglio infatti, dire molto. Mi limito a dire che il settore nel quale lavoriamo, che è quello della "cura", vede le donne molto presenti. Avremmo bisogno di più presenza maschile? forse si, a patto che siano uomini non svirilizzati e che abbiano a cuore la relazione di genere. Ciò che osservo da molti anni non mi piace. Le donne, e mi riferisco alla dirigenti,alle fondatrici di Cooperative o Associazioni, alle funzionarie del pubblico, insomma a quel livello intermedio che è il terreno fervido della vita lavorativa e delle relazioni, è pietrificato da molti anni. Il pericolo è sempre lo stesso. Non permettere il ricambio, non sapere che ogni stagione della vita lavorativa ha la sua bellezza. La modalità è maschile. A questa si agganciano quei registri materni che funzionano attivando il controllo, la presenza continua, l'accentrare tutto su se stessi, pensando, in fondo, che gli altri siano un pò asini (poveri asini che non c'entrano nulla)che non siano all'altezza. Guardatevi un po' intorno. Io l'ho fatto e vedo dirigenti vecchie (in qualche caso anche quando sono giovani)che non sono state capaci di crearsi un entourage di genere, pronto a proseguire, innestando novità, pensiero giovane e futuribile. Donne arroccate, alla pari degli uomini. Che dispiacere!! Conosco una Presidente che ha novant'anni, e non si è premurata minimamente di "passare" esperienze, prassi, sperimentazioni e saperi. Io, coordinatrice operativa, in avanzata età (57 anni) al suo cospetto resterò per sempre una perenne ragazza. Guardate che il rischio è proprio questo. Ti fanno sentire "giovane" non solo quando non lo sei più (e mi riferisco all'adultità che incomincia dopo i trent'anni)ma quando, addirittura, ti stai avviando verso la pensione. Non si tratta di mettersi definitivamente da parte, si tratta di posizionarsi su un altro asse, che è quello dello stimolo ala riflessione, al sapere. In questo momento della mia vita, non posso lavorare come facevo un tempo, ho qualche acciacco. Debbo arrendermi definitivamente, o mi fido degli altri (mi riferisco alle equipe che gestisco) o non vado avanti. Se voglio continuare ad esserci devo cambiare, devo evolvermi, è la vita che ce lo impone. Si la vita, che non è solo quella biologica, ma è quella etica. Allora, vecchie dirigenti, quando ci sono i Convegni, ed è solo un esempio, fate in modo che siano gli operatori a rappresentare i servizi, restituite a Genova, città che noi tutti amiamo, un volto giovane. E ricordatevi gli insegnamenti degli anni 70. Dove è finita la sorellanza?

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  4. IL PASTO
    PARTE 1
    Quando mi arrivò l'sms dalla cooperativa, in cui mi si comunicava che avrei avuto diritto al pranzo alla mensa scolastica, lo lessi distrattamente... quindi mi sfuggì qualche dettaglio...
    Ma facciamo un passo indietro. Faccio l'educatrice a scuola, da quasi dieci anni, fornisco servizi socio educativi a bambini disabili di diverse età, in pratica sono un sostegno al loro inserimento scolastico. All’interno della scuola seguo parecchi bimbi, li accompagno in vari momenti della loro vita scolastica a seconda delle esigenze (lottando col monte ore assegnato dal Comune e cercando di accontentare le richieste delle insegnanti, chi mi vuole le prime ore, chi le ultime, chi in palestra, chi in mensa... un gioco d’incastri non da poco ma faccio il possibile per conciliare tutto e modestamente me la cavo perchè sono pure diplomatica).
    Questo lavoro mi piace. Sì sì, nonostante tutto mi piace, mi piacciono i bambini, tutti pure quelli che mi fanno sclerare e mettono alla prova i miei poveri nervi, mi piace muovermi nella scuola e pure collaborare con le insegnanti, non proprio con tutte ovvio, ma in generale è così. Da settembre però, quando arriva l’ora di pranzo vorrei diventare invisibile... e mi tocca quattro volte a settimana. In quell’ora sono in servizio a tutti gli effetti, sto accanto al bambino che seguo, bado che mangi, non si alzi da tavola per fare danni, non sputi, non rovesci la brocca dell’acqua, non si alteri perchè non tutti i cibi possono essere rossi, non si abbuffi rubando bocconi da piatti altrui ecc. ecc. (attualmente tutti in miei pupilli sono in grado di nutrirsi autonomamente, ma è ovvio che in molti casi bisogna imboccarli). Inoltre, siccome sono un’adulta a tavola con cinque bimbetti, butto l’occhio su tutti, non solo sul “mio”... ed è normale così. Quel che mi chiedo se sia normale è che non mi spetti più un pasto uguale a tutti gli altri. Ebbene sì, ho diritto al primo, al contorno e alla frutta, niente secondo ma che ci volete fare, è la crisi. Cavolo, mi son detta, ma non è mica giusto, faccio quello che fanno le maestre, perchè ho un trattamento diverso? “Mi spiace ma è la convenzione pattuita dal Comune con le ditte di ristorazione, per voi educatori le cooperative pagano circa la metà, quindi meno cibo”. Ok, pazienza. Il settore è sull’orlo del baratro, ingoiamo pure questo boccone (?). Eppure non mi va giù... soprattutto non capisco tanto rigore nel tenermi a stecchetto. Tutto il mio cibo arriva impacchettato e sigillato nella plastica, con su la scritta “OSE”: la pasta in un pacchetto, il sugo in un altro, anche la minestra è separata  dalla sua pasta o dai crostini (una decina e non di più) che arrivano in un sacchettino a parte, così come il panino e la frutta. Insomma il pasto dell’educatore non deve provenire dal recipiente  cui attingono tutti, le quantità devono essere controllate e la mano dell’addetta potrebbe compire sconsiderati gesti di generosità... quindi meglio impacchettare e marchiare tutto, tutto scientificamente pesato (la plastica deve costare davvero poco, sicuro meno di un bastoncino findus). Quando c’è la pizza a me spetta l’insalata, quando gli altri hanno il polpettone io ho le carote, se qualche anima gentile le condisce con olio e sale mi viene fatto notare: la solita fortunella. Tra l’altro questo sistema di pacchetti, oltre ad essere tristemente asettico, mi costringe a condire da sola la pasta, a perdere tempo districandomi coi pacchetti, distraendomi dal motivo per cui sto in quella cavolo di mensa... così spesso lascio perdere. Inoltre di solito le mie porzioni sono imbarazzanti e anche la qualità è scarsa ma questo è un problema non solo mio. Eppure, la cosa che rende il boccone amaro, non è  rinunciare al pollo o alla crocchetta, ma il trattamento differenziato, la consapevolezza di avere qualche diritto in meno di altri lavoratori, di valere di meno, insomma è la solita vecchia questione di principio.

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  5. IL PASTO
    PARTE 2

    Il pasto dovrebbe essere un momento di condivisione che parla di famiglia e di conoscenza reciproca, un momento in cui, almeno in astratto, dovremmo essere tutti uguali. A volte ho addirittura elaborato progetti educativi che avevano come fulcro il momento del pasto, per sviluppare autonomie personali e abilità sociali. Questo cerco di far capire ai miei ragazzi, eppure mi sento diversa e, non lo nego, è umiliante.
    Se arriva una nuova addetta alla mensa io ho un brivido... ”chi è l' Ose???”, “ di chi è questo pacchetto???”, “no no! A lei non riempire il piatto!”...una volta il piatto mi è stato tolto un attimo prima che iniziassi a mangiare. Da allora per orgoglio non tocco niente che non sia marchiato... e che cavolo! Io non elemosino da mangiare, né accetto avanzi. A tutto c' è un limite. Questa esperienza però mi insegna qualcosa: mi metto nei panni dei bambini “diversi” che devono rispondere tutti i giorni a mille perchè, che ricevono il compito differenziato, che sentono addosso lo sguardo di tutti e il più delle volte manderebbero tutti a quel paese.
    Ecco, forse è proprio questo il profondo messaggio educativo che il Comune e i miei datori di lavoro vogliono impartire a noi e ai nostri utenti: la società è crudele e, se per qualche motivo sei diverso, ciò verrà stigmatizzato e ricordato anche nelle più piccole cose. Quando i bambini mi chiedono perchè mangio poco, se faccio la dieta, io dico di sì perchè voglio fare la modella... e giù a ridere. I più magnanimi commentano: “eddai, non sei poi così cicciona!”

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  6. Hai tutta la mia comprensione. Ho letto con attenzione e non posso fare altro che condividere queste poche parole, questo virtuale ma sincero sentimento. Sul pane di ciascuno di noi si stanno consumando cose brutte. A te è capitato in forma concreta, il pasto ti è stato razionalizzato, sotto i tuoi occhi, sotto gli occhi dei bambini che segui. Nel tuo caso non si tratta di un simbolo, di un messaggio, di un avvertimento, il pane razziato te lo presentano tutti i giorni. E' strano ma penso che non sia fatto apposta, è semplicemente il prodotto di un sistema che crea operatori di serie A e di serie B; è il frutto della banalità, la banalità del male. Grazie di aver avuto il coraggio di condividere!!

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